Un successo. Consacrato e sigillato: Expo 2015 ha fatto vincere l’Italia e Milano, “tornata” addirittura, per alcuni, “capitale morale”. Successo di pubblico, innanzitutto, superata la fatidica soglia dei 20 milioni di visitatori: 21,5 milioni, boom! La vetrina del nostro Store Italia ha funzionato, attirando molti, anzi di più, a varcare la soglia del negozio, code chilometriche agli ingressi. Ma cosa abbiamo venduto esattamente? Occupazione e posti di lavoro? Indotto per il territorio? Promozione dell’agroalimentare? Turismo? Arte e cultura? Acclarata la capacità organizzativa e sanciti gli impegni ufficiali affidati al Segretario delle Nazioni Unite, rimane aperta la domanda centrale: dov’è, cos’è l’eredità di Expo 2015? È negli affari per le 40.000 imprese che hanno approfittato della diplomazia economica delle 60 e passa delegazioni di capi di stato e ministri? In parte sì. È nell’impulso alla cooperazione, che registra un migliore (ma insufficiente) impegno da parte italiana con 418 milioni di euro per il 2016? Sì, anche questo. È nell’affermare la necessità di una consapevolezza diversa, nell’affrontare le sfide della globalizzazione? A guardare i tanti, tantissimi 20-30enni che in Expo hanno lavorato, mangiato, curiosato, aperto finestre sul mondo, questo è certo un risultato che si può ben mettere nella lista dei successi. Anzi…. Alla politica, che ha perso l’occasione della vita, non facendo letteralmente nulla per costruire negli anni (7, dalla vittoria a oggi) il lascito del “dopo”, hanno risposta centinaia di migliaia di italiani. Che si sono goduti questo tempo per sognare, per accarezzare visioni e progetti, per mettere calce di esperienze tra i mattoni delle aspettative di un futuro diverso. Per loro è un successo a tutto tondo, con una profittabilità che sarà pagata sui tempi lunghi, nei quali la felicità sarà componente essenziale della misurazione del pil. Perché è lo “stare bene” di una comunità, forse, l’indicatore più rilevante di un’operazione come questa. Una dimensione sconosciuta a Expo SpA, che si è invece ficcata nell’imbuto del pareggio di bilancio, lasciando gli italiani nella convinzione che lo stato (cioè noi) dovrà mettere mano al portafogli per sistemare i conti, alla fine. Ma va bene così, se il “brand Italia” si è tradotto almeno un po’ in un investimento di speranza, fatto da milioni di persone che hanno immaginato, visitato, sognato Expo 2015: è questo il vero “prodotto”, la vera ricchezza. I “consumatori” hanno realizzato la campagna per la nostra azienda, l’Italia, usando il brand in una logica “diffusa”, patrimonio di tutti, vero “human brand” che ha permesso d’incontrare e aprirsi a chi arrivava da altre parti del mondo. Un tempo ci si misurava in decenni, se non in vite intere spese per un’opera di cui magari non si sapeva il termine. Oggi riprendiamoci la libertà di non misurare questa porta sul futuro solo nel margine tra costi e ricavi. Costruiamola davvero, questa eredità di Expo. Expo è finita, viva Expo!