È ormai da tempo che si parla degli influencer e possiamo affermare che, nell’ambito del marketing, questi abbiano dato vita a una vera e propria nuova professione. Non serve ricordare che la più famosa influencer è italiana e, se questa è diventata una star, tante altre figure, anche senza raggiungere la sua notorietà, sono riuscite a farsi largo in questo mondo raggiungendo risultati del tutto ragguardevoli con guadagni milionari. Il fenomeno riguarda anche i minori, con genitori che condividono foto e video dei loro figli sui social media, trasformandoli in alcuni casi in fenomeni del web: Boram, per esempio, è una youtuber coreana di soli 6 anni, con due canali Youtube e un totale di oltre 31 milioni di follower, già proprietaria di un grattacielo da 8 milioni di dollari in un esclusivo quartiere di Seul. E non è fra i bambini più ricchi di Youtube. Secondo Forbes, il primato va all’americano Ryan Kaji di 8 anni che, equiparabile a una star del pop con i suoi oltre 19 milioni di iscritti al canale in cui recensisce giochi e giocattoli, nel 2018 ha guadagnato circa 22 milioni di dollari. In Italia i numeri sono significativamente inferiori ma il fenomeno è in costante crescita e, anche in alcuni nostri concorsi, la presenza di giovani youtuber ha portato risultati sorprendenti. Per le aziende è una frontiera estremamente interessante, perché attraverso i baby influencer hanno la possibilità di raggiungere un pubblico cui è difficile accedere: ormai la pubblicità tradizionale è sempre meno recepita dalle nuove generazioni mentre il linguaggio diretto fra ragazzi o, addirittura, bambini rende più efficaci i messaggi commerciali. I baby youtuber riescono a instaurare una relazione emozionale con i bambini che, nel loro mondo fantastico, sentono di avere una connessione diretta con l’influencer con cui si identificano. I brand sono poi ben consapevoli del potere che i bambini hanno all’interno della famiglia e dispongono, oggi, di questo mezzo di grande efficacia per influenzare – attraverso di loro – le scelte e i consumi. Le famiglie di questi bambini si trasformano nei loro “agenti”, negoziano accordi di partnership con i brand e monetizzano i loro contenuti su Youtube vendendo annunci pubblicitari sui loro video. L’inserzionista paga, in media, da 10 a 30 centesimi per visualizzazione o clic di 30 secondi e le entrate pubblicitarie vengono quindi suddivise tra Youtube e il creatore di contenuti.
Se, dunque, da un lato la nostra società ha trovato un nuovo lavoro in grado di produrre enorme ricchezza, dall’altro viene spontaneo chiedersi fino a che punto il fenomeno del baby influencer sia eticamente accettabile, considerando che i minori sono spinti ad assumere precisi comportamenti e a mettersi in mostra prima ancora di poter capire cosa questo significhi e quali saranno le implicazioni nella loro vita, con il rischio di compromettere la loro integrità intellettuale e psicologica.
Purtroppo non ci sono ancora norme specifiche che regolino il mondo dei baby influencer, come invece accade per tv e cinema, ma certamente sembra essere molto labile il confine con lo sfruttamento del lavoro minorile. Su questo aspetto, varrà la pena dedicare un futuro approfondimento.
Vanno fissate norme per regolare le promozioni con baby influencer
Sonia Travaglini12/11/2019