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JimRead, passato a miglior vita, co-
minciarono a trattare anche i sur-
gelati. Nel 1984 si permisero anche
la gastronomia pronta. Nel 1999 si
concessero l’ortofrutta e nel 2003
persino la macelleria. L’idea di un
magazzino spartano da cui aspor-
tare cartoni di pasta e detersivo si
era trasformata nell’immagine di
un supermercato ad assortimento
completo, essenziale, sempre puli-
to e ordinato in grado di parteci-
pare al rude gioco dei prezzi bassi
di grandi catene, discount e cate-
gory killer, battendole. Oggi Go per
distinguersi da ogni altro formato
affigge una nuova insegna: Groce-
ry Outlet Bargain Market. Capi-
to? Il bargain market è l’ennesima
mutazione della formula a libero
servizio ed è destinata a chi ha il
conto prosciugato dalle tasse, dagli
alimenti alla moglie divorziata, dal
college dei figli, dal mutuo sulla
casa o da chi semplicemente non
si lascia affascinare dai richiami
degli ultimi prodotti lanciati.
Non si capisce allora perché in
un’Italia lamentosa dove da un
decennio ci sarebbe chi non arri-
va alla “quarta settimana” e in cui
sopravvive un esercito di precari,
nessuno ne approfitti importando
questo modello. In realtà Grocery
Outlet non si rivolge solo ai “pove-
ri”, ma anche al pubblico ancora
più ampio di coloro che chiama
“frugal-minded consumer” e a cui
i nostri retailer che denunciano un
preoccupante, duraturo calo delle
vendite sembrano non pensare.
La tecnica che usa Go è semplice:
compra “opportunisticamente” per
pochi penny ciò che costa dollari
dalle industrie manifatturiere con
le pipeline ingolfate dagli errori
dei trade manager. Nel 2001 Kel-
logg decise di promuovere le sue
vendite in comarketing utilizzan-
do il character Shrek di Universal
Pictures. Quando però il film uscì
dalle sale cinematografiche si tro-
vò con una montagna di cereali da
smaltire. Accordandosi con Go,
che li mise in vendita a meno della
metà del prezzo regolare praticato
durante la stagione di Shrek, Kel-
logg riuscì a recuperare una parte
dei costi.
Ormai tutte le aziende del largo
consumo ricorrono a questa cate-
na in occasioni simili. Anzi, così
come è avvenuto nel caso dei facto-
ry outlet, il sospetto è che il canale
dei close-out sia stato istituziona-
lizzato in quanto buffer di una cre-
scita della capacità produttiva che
si rivela permanentemente più ra-
pida di quella della domanda. Ri-
emerge cioè l’importanza di quella
regola spiegata in un capitoletto dei
libri di microeconomia spesso di-
menticato dai manager: in queste
spiacevoli evenienze il prezzo di
cessione di un canvas deve coprire
almeno i costi di produzione va-
riabili. Go riesce però a distinguer-
si dagli altri close-out mettendo
in atto un’altra tecnica: colma gli
eventuali buchi assortimentali con
acquisti attraverso i canali conven-
zionali di prodotti loss-leader che
raggiungono due obiettivi: non de-
ludono la clientela, che trova tutto
ciò che le serve; confondono le ac-
que, rendendo difficile distinguere
i fine serie dalle altre referenze.
Di sicuro l’assortimento cambia set-
timanalmente, ma per certa clien-
tela questo può anche essere un
vantaggio: i bargain hunter godono
nel trovare l’occasione del giorno,
e coloro che sono poco fedeli alla
marca godono della sorpresa del-
la continua varietà... “unicuique
suum”, insomma, perché il vero
commercio, ci dicono questi signo-
ri di Berkeley (California), non ha
mai pregiudizi.
* Presidente di Popai Italy
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n
s
tore
SPAZI
maggio 2012
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