< PreviousOCCORRE CHE IN AZIENDA VI SIA LA VOLONTÀ DI PORTARE LA VOCE DEL CLIENTE IN TUTTE LE FUNZIONI A PARTIRE DAL PERSONALE DI FRONT-END FINO AI VERTICI scenari 18 PROMOTION 1/2021 oltre la siepe menti per centinaia di migliaia o milioni di euro basandosi soprattutto sull’espe- rienza personale, l’intuito e la preveg- genza del loro top management, ben- ché dispongano di tutte le informazioni necessarie, avendo una frequentazione quotidiana con la clientela e strumenti a disposizione per fotografarne e interpre- tarne i comportamenti. Una lacuna ancora più grave se confrontata con gli investimenti consistenti in strumenti e formazione compiuti da molte società – tanto b2b che b2c – che un po’ in tutti i settori stanno colmando il gap nei confronti di quelle operanti nel d2c (direct to consu- mer) digitale, che per loro stessa natura tracciano la storia della relazione con la clientela fin dal primo contatto. E allora? Credo che lo scoglio insormon- tabile, prima ancora che nella disponi- bilità degli strumenti, stia nella cultura aziendale e nel sedimentarsi dei meto- di di lavoro. Perché la raccolta dei dati comporta degli investimenti non insor- montabili. Quelli transazionali, peraltro, alimentano diversi processi aziendali che interessano le vendite, gli acquisti e la lo- gistica. Oltre al marketing, ovviamente. E da questo tipo di dati di base si possono ricavare già informazioni importanti sui comportamenti complessivi della clien- tela in termini di orari di visita, scontri- ni medi, composizione del carrello della spesa, metodi di pagamento ecc. Se fos- simo in ambito fotografico, direi che con queste informazioni abbiamo acquisito l’immagine del paesaggio. Ma, nel caso l’insegna disponga di un programma fedeltà che giustifica l’e- missione di una carta o di un altro iden- tificativo personale, ecco che possiamo usare il teleobiettivo per misurare i com- portamenti del singolo cliente nel tem- po. Il che ci consente di acquisire infor- mazioni come la spesa media annua, la composizione del carrello, la frequenza di visita, i touchpoint preferiti, la reazio- ne agli stimoli di marketing. Tutte utili per segmentare i clienti (che non sono tutti uguali!) e indirizzare loro messaggi promozionali mirati. Tuttavia, poiché in questo modo il distributore può comprendere cosa accade nei suoi punti di vendita fisici e virtuali, ma non quanto succede fuori, ha bisogno anche di un grand’angolo, rappresentato dalle informazioni dei panel continuativi che forniscono ag- giornamenti costanti sull’andamento del mercato e della concorrenza a livello ge- ografico e di formati, così come delle so- luzioni disponibili per rilevare i compor- tamenti on e offline. Altri dati possono essere poi integrati in una logica di eco- sistema informativo, se s'instaurano pro- cessi di scambi di informazioni con dei partner commerciali, come per esempio i fornitori stessi o i partecipanti a una coalition. Infine, siccome serve a poco sapere cosa accade senza comprenderne i motivi, attraverso le ricerche qualitative e quantitative i retailer possono dare voce ai clienti, per scoprire le motivazioni, gli atteggiamenti e le attitudini nei confron- ti di un’insegna o di un canale rispetto a quelli concorrenti. CHI DOVREBBE NON LEGGE I DATI RELATIVI AGLI SCONTRINI DEI CLIENTI E, SE ANCHE LO FA, NON DISTINGUE TRA GLI SCONTRINI IMPORTANTI E QUELLI MARGINALI 19 PROMOTION 1/2021 Un percorso reiterato e continuativo, visto che il mondo corre, che consente di passare da una fotografia in bianco e nero a un film a colori con il sonoro. I for- nitori di strumenti e soluzioni di qualità sul mercato abbondano, motivo per cui non vale la pena reinventare ogni volta la ruota. Le figure senior commerciali e marketing, coadiuvate dai responsabili dei sistemi informativi, sono in grado di selezionare le proposte migliori in fun- zione dei bisogni. Un buon ricercatore e qualche analista poi rappresentano l’impegno in termini di risorse umane per impostare un reparto di marketing intelligence in grado di alimentare tutti i processi decisionali aziendali. Le fonti informative disponibili indicate rappresentano tuttavia condizioni necessarie ma non sufficien- ti, perché occorre che in azienda vi sia la volontà di portare la voce del cliente in orizzontale in tutte le funzioni che posso- no contribuire alla sua soddisfazione e in verticale a partire dal personale di front- end fino ai vertici deputati alle decisioni relative tanto agli obiettivi da perseguire quanto agli investimenti necessari per assicurarne il raggiungimento. Gli illustri esempi che possiamo trovare all’estero, con le varie Walmart, Target, Kroger e Tesco, c’insegnano come l’ec- cellenza nella customer experience non si può perseguire senza il committment del top management a introdurre nuovi strumenti che facilitino il cambiamento nel modo di lavorare. Questo rappresenta ancora un punto di debolezza in Italia e non sono io a dirlo. Infatti, la ricerca condotta sulle aziende direttamente dal Dipartimen- to di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Parma, sempre per il Convegno dell’Osservatorio Fedeltà, ha scoperto che solo il 28% del campione condivide gli insight di cliente tra re- parti e livelli gerarchici, mentre in per- centuali ancora più basse integrano le informazioni della clientela prove- nienti da touchpoint o funzioni azien- dali diversi, da fonti interne ed esterne ecc. Ma, soprattutto, solo il 23% del top management è impegnato direttamente sul fronte della customer experience e solo il 19% è abituato a utilizzare gli in- sight di cliente per prendere le decisioni strategiche. A onor del vero, la gdo rappresentava solo il 18% del campione. Ma il retail nel complesso era il 40% e le aziende con accesso diretto alla clientela almeno il 57%. Un altro 22%, infine, era rappre- sentato dall’industria del largo consumo, che si è sempre distinta per una certa scientificità dell’approccio al marke- ting. Insomma, concludendo, se è vero che il nostro retail grocery è in buona compagnia nel ritardo accumulato sul fronte dell’adozione di un approccio customer centric, resta il fatto che lo shock provocato dalle conseguenze del Covid-19 rischia di avere serie ripercus- sioni sull’ampia percentuale di follower sempre abili nel copiare quello che ve- dono – comunicazione e promozioni di massa – ma impossibilitati a emulare ciò che per propria natura non è sotto gli occhi di tutti: ovvero quel customer rela- tionship management basato sulla cen- tralità del cliente e la personalizzazione della relazione. Che, non mi stancherò mai di ripeterlo, nella sua accezione più ristretta dovrebbe occuparsi di ottimiz- zare i rapporti con i clienti esistenti e non di reclutamento. Perché altrimenti l’avrebbero chiamato prospect relation- ship management. 20 PROMOTION1/2021 LA CAPACITÀ DI DOMINARE IL MERCATO IN UNA DETERMINATA AREA DA PARTE DI UN’INSEGNA DIPENDE DAL GOODWILL ACCUMULATO NEL TEMPO E CRESCE IN MODO ESPONENZIALE IN RAPPORTO AL NUMERO DI CLIENTI CHE LA CONSIDERANO LA MIGLIORE he la concorrenza tra insegne della distribuzione sia agguer- rita è dire una banalità. Speci- ficare che tipo di concorrenza prevalga lo è un po’ meno. Misurarne l’intensità e l’evoluzione nelle specifiche arene è compito arduo. Pertanto, non resta che scomporre il problema e formulare ipo- tesi criticabili. Certamente dobbiamo convenire che i criteri per misurare la concorrenza tra le aziende industriali non si possono estendere a quelle che distribuiscono. Farlo sarebbe fuorviante. La competi- zione tra marche di prodotti seriali con- sente un’assunzione: la qualità dell’of- C I CLIENTI SODDISFATTI DETERMINANO LA FORZA DEL RETAILER Daniele Tirelli www.danieletirelli.it, Amagi ferta è nota alle famiglie consumatrici, è stabile nel tempo e ripetutamente sperimentabile. In pochi casi il con- fronto si svolge a tutto campo, sul pia- no nazionale, se non internazionale. In tanti altri esso avviene in ambito locale, circoscritto e determinato dagli assor- timenti delle poche insegne disponibili per le famiglie che vivono all’interno delle varie isocrone; una condizione che comunque non contraddice le premesse già menzionate. Per i retailer tutto questo non vale. Ve- diamo perché. In primo luogo, un’in- segna è legata a un luogo fisso dove fronteggia un plesso di concorrenti che 21 PROMOTION 1/2021 SCENARI CX STORE varia in ogni altra analoga collocazio- ne spaziale (o isocrona, appunto). In secondo luogo, la sua offerta è eteroge- nea: è una combinazione di migliaia di voci mutevoli nel tempo e in gran parte differenti (per marche, formati, gusti) da quelle proposte da altri. Ciò signifi- ca che il processo psicologico di scelta del cliente è radicalmente diverso da quello del consumatore (utilizziamo per questo due termini diversi riferibili allo stresso individuo) posto di fronte all’ aut-aut di marche tra loro sostituti- ve. In terzo luogo, contrariamente alla concorrenza tra brand, che come si è detto costituiscono entità predefinite e chiuse in se stesse, il confronto tra re- tailer coinvolge un grande insieme di merci qualitativamente diverse, tra cui i prodotti deperibili, sfusi o autoprodot- ti. Carni, pesce, ortofrutta, elaborazioni gastronomiche, ma anche prodotti che hanno contenuto di design, tecnologia e/o di moda implicano un indefinibile, soggettivo criterio di valutazione da parte di ciascuno di noi, un criterio che fonde inestricabilmente due espressio- ni del valore economico: la qualità e il prezzo. Attenzione, però. Inconsciamente, la business community tende ad applica- re gli assunti semplificati della “teoria neoclassica del consumo” anche alla scelta del punto di vendita, adottando il presupposto di una perfetta infor- mazione nelle scelte del cliente (che ricordiamo non è il consumatore). Ed è sbagliato. Banalmente, io, senza dubbio, conosco la qualità di Coke e Pepsi, di Ba- rilla e De Cecco, perché ho consumato queste marche tante volte, perché sono influenzato dalla pubblicità e così via. Posso assumere allora che la mia scel- ta, se mi sono offerte entrambe, dipenda essenzialmente dai loro prezzi. Prendiamo invece due costate di manzo offerte da Eurospin e da Esselunga. La mia scelta è diversa e assume un carat- tere probabilistico. In primo luogo, e in qualche modo, quantificherò la probabi- lità che la costata dell’una sia superiore per sapore, succosità, provenienza, re- quisiti salutari ecc. rispetto all’altra; cioè che mi piaccia un poco o molto di più. Quindi, in base a questo calcolo inespri- mibile, valuterò se il suo maggior prezzo sia giustificato e accettabile in base alla mia propensione a spendere il denaro che possiedo. Ciò implica una differenza. L’esperienza di consumo ripetuta di Pepsi o Coke consolida la mia per- cezione del “valore” dell’una e dell’altra, e riduce la questione al mero prezzo. Quando parlo di arance, lasagne, ossi- buchi ecc., invece, la mia percezione del valore di quel che mi viene offerto resta comunque “fuzzy”, imprecisa. In conclusione, quando sono davanti allo scaffale risolvo rapidamente il di- lemma della scelta in base al prezzo. Quando devo decidere se entrare in Conad o in Coop o in Md il mio pro- cesso valutativo diventa molto, molto più complicato. Infatti, qual è il valore (qualitativo) nell’una o nell’altra insegna, dell’insieme costituito da: 1 kg di carne bovina, più 1 kg di kiwi, più 3 etti di pro- SBAGLIA CHI PENSA DI POTER MISURARE LA COMPETITIVITÀ TRA RETAILER IN MODO OGGETTIVO, PARAGONANDO SEMPLICEMENTE I PREZZI ESPOSTI Esselunga, nell’arena di Milano città metropolitana, ottiene sempre l’indice di dominanza più alto (9,9) in quanto il suo goodwill assoluto è oltre il 50% e i suoi concorrenti hanno una quota del 6% a decrescere.22 PROMOTION 1/2021 SCENARI CX STORE I dati raccolti nel 2020 nel corso del monitoraggio Cx Store ci hanno per- messo di conoscere il goodwill asso- luto (il numero di clienti soddisfatti di un’insegna della gdo rispetto al numero di clienti presenti in una de- terminata area) e il goodwill relativo (il numero di clienti soddisfatti della medesima insegna in rapporto al nu- mero di clienti che la frequentano). Avendo a disposizione questi dati, si può misurare la “dominanza” compe- titiva di ciascun player, utilizzando un calcolo matematico che adotta una metrica sperimentale che abbiamo chiamato indice Tst (perché ideato da D. Tirelli, B. Sfogliarini, L. Tirel- li). Facciamo un esempio: siano 100 i clienti potenziali di una certa area e 35 quelli che riconoscono una data insegna come la migliore (goodwill assoluto del 35%). Poniamo che i re- stanti 65 distribuiscano le loro prefe- renze in due modi diversi: nel primo caso, un’altra insegna ottiene il 25% delle preferenze (main competitor), 5 insegne il 2% ciascuna, le altre 30 l’1% ciascuna; nel secondo caso, due main competitor dell’insegna leader detengono un goodwill del 10%, 8 ne raccolgono il 5% ciascuno e gli altri 5 l’1% ciascuno. In entrambi i casi, il goodwill si suddivide sempre 35 a 65 tra l’insegna migliore e gli altri, ma quale situazione è più favorevo- le? Per saperlo ci avvaliamo dell’in- dice di Herfindhal-Hirschman (indice Hh), ampiamente utilizzato negli studi di economia industriale, che combina due aspetti: la rilevanza di ciascuna impresa e la numerosità degli attori. Il suo calcolo è semplice, basta elevare al quadrato le quote di goodwill assoluto dei concorrenti e sommarle. Nella prima situazione l’indice Hh dei concorrenti dell’in- segna leader risulterà 675 (ossia 25 x 25 + 5 x 4 + 30 x 1), nel secondo caso l’indice Hh sarà invece uguale a 405 (ossia 2 x 100 + 8 x 25 + 5 x 1). A questo punto, per ottenere l’indice di dominanza, applichiamo la metri- ca Tst che prevede di elevare al quadrato anche il goodwill assolu- UN INDICE PER MISURARE LA “DOMINANZA” DI CIASCUN PLAYER sciutto affettato, più 4 pezzi di pane, più una confezione di passata Marrazzo so- stitutiva di una Petti (o viceversa), poiché gli assortimenti sono diversi? La rispo- sta è: “a priori, dall’esterno della sfera psicologica di ogni individuo, non lo sappiamo”, come accade per tante altre cose nella vita, dalla scelta del partner a quella della carriera lavorativa, di un’o- pera teatrale ecc. O meglio, ciascuno lo sa, ma istintivamente, senza fare calcoli precisi ed espliciti. Per questo, il tenta- tivo puerile e fallace, ma ampiamente diffuso, di misurare la competitività tra retailer “dall’esterno”, in modo oggetti- vo, paragonando semplicemente i prezzi esposti, resta tale. Propongo quindi una nuova metrica, una metrica che si riferisca semplicemente alla valutazione soggettiva del goodwill, cioè della reputazione delle insegne se- dimentata tra la clientela e resa esplicita da parte dei clienti. Il goodwill è facile da quantificare, raccogliendo semplice- mente i giudizi espressi dalla clientela per conoscere la sua predisposizione ad IL GOODWILL SI MISURA ATTRAVERSO I GIUDIZI ESPRESSI DALLA CLIENTELA CHE FREQUENTA I RETAILER23 PROMOTION 1/2021 to dell’insegna considerata migliore (35 x 35 = 1.225), dividendolo poi per l’indice Hh dei concorrenti: nel primo caso avremo 1.225: 675 = 1,8; nel se- condo 1.225: 405 = 3. Ne discende che in quest’ultimo caso l’insegna leader ha un indice di dominanza più alto, quindi ha più potere di mercato e maggiore forza verso i concorrenti. Nel grafico sono riportati sull’ordina- ta i risultati dell’indice Tst di domi- nanza delle insegne prese in consi- derazione dal monitoraggio Cx Store messo in relazione con il goodwill relativo delle stesse (indicato in ascissa). Per fare un esempio, Esselunga nell’area di Lucca-Massa risulta possedere un goodwill assoluto del 51% e un goodwill relativo del 59%. Il calcolo dell’indice di dominanza tiene conto di una concorrenza che nel suo complesso ottiene un indice Hh di 456. Se eleviamo al quadra- to il goodwill assoluto, otteniamo la cifra di 2.602, che suddivisa per l’Hh di 456 fornisce un indice di dominan- za del 5,7. Da notare come Esselun- ga, nell’arena di Milano città metro- politana, ottenga sempre l’indice di dominanza più alto (9,9) in quanto il suo goodwill assoluto è oltre il 50% e i suoi concorrenti hanno una quota del 6% a decrescere. Seguono tutte le altre insegne, come per esempio Conad/Cia nell’area di Ravenna-Ri- mini, collocate lungo una linea che rappresenta una funzione di potenza, che mostra come la forza competiti- va dell’insegna più apprezzata in una determinata area aumenti in modo più che esponenziale in rapporto al goodwill relativo. acquistare in una certa insegna perché ritiene di ricevere una qualità delle mer- ci e dei servizi più alta, rispetto a ogni altra alternativa disponibile a parità di prezzo (o un prezzo più basso a parità di qualità). Vanno menzionate poi anche altre componenti non legate alla mer- ce, come il parcheggio coperto, il “ba- zar non prevedibile”, le sagre nazionali o regionali, la possibilità di usare i buo- ni pasto per il pagamento della spesa; insomma, altre componenti dell’offerta che impattano sull'esperienza comples- siva dello shopping e che aggiungono va- lore al tempo speso, sebbene non a ciò che il cliente porta a casa. In sintesi possiamo affermare che la for- za di un retailer dipende, proprio per la complessità del processo psicologico di scelta, dal goodwill accumulato nel tem- po. Da esso dipendono la frequenza del- le visite e l’entità degli acquisti. Avendo a disposizione questo dato, è possibile – sulla base dell’indice di concentrazio- ne dei concorrenti in un determinato territorio – calcolare l’indice di domi- LA RELAZIONE TRA DOMINANZA DEL MERCATO E GOODWILL DEI PROPRI CLIENTI Indice Tst di dominanza Goodwill relativo (Milano città metropolitana) Esselunga (Lucca-Massa) Esselunga (Ravenna-Rimini) Conad/Cia 11,0 8,3 5,5 2,8 0,0 8101214161820222426283032343638404244464850525456586024 PROMOTION 1/2021 SCENARI CX STORE nanza di un’insegna (ossia la capacità di dominare un mercato) e metterlo in relazione con la capacità di soddisfare la propria clientela. Cosa che abbiamo fatto utilizzando il database del Cx Sto- re di Promotion che ci permette di mi- surare il goodwill assoluto e il goodwill relativo delle insegne a livello nazio- nale. Fatti i dovuti calcoli, emerge che i rapporti tra competitor rispondono a una certa regolarità, la concorrenza si struttura secondo un criterio comune; in particolare si evidenzia come la ca- pacità di dominare il mercato sia stret- tamente legata al goodwill relativo (ossia al numero di clienti soddisfatti di una data insegna in rapporto al numero di clienti che la frequentano), in una rela- zione che cresce esponenzialmente: al crescere del goodwill relativo, cresce in maniera esponenziale l’indice di domi- nanza in una determinata area. Un aspetto interessante di questo indi- ce è la sua natura “scale-free”, cioè i dati seguono la stessa regola indipendente- mente dalla grandezza dell’arena com- petitiva prescelta (città, regione, area…). La seconda rilevazione del Cx Store, che sarà effettuata nel corso del 2021, ci per- metterà di verificare se i parametri cal- colati si sposteranno in su e in giù lun- go la curva, evidenziando la variazione della dominanza delle singole insegne e riassumendo in maniera sintetica i risul- tati di ogni strategia aziendale. Ma quale può essere l’utilità di questi semplici calcoli? Dovrebbe esistere la possibilità di rapportare questo indi- ce alla produttività delle aziende e ad altri dati oggettivi, quali l’entità degli scontrini, la numerosità delle visite dei clienti ecc., come suggerisce il senso comune. Più elevata è la dominanza mi- gliori saranno le performance econo- miche di una data impresa. Soprattutto, si potrebbe evidenziare l’esistenza per alcuni del noto problema del “double je- opardy” (il doppio rischio di una bassa penetrazione e frequenza) che affligge i retailer più deboli. Un fenomeno im- portante che merita spazio e un prossi- mo articolo. I CRITERI PER MISURARE LA CONCORRENZA TRA AZIENDE INDUSTRIALI NON SI POSSONO ESTENDERE A QUELLE CHE DISTRIBUISCONO Il goodwill relativo corrisponde al numero di clienti soddisfatti della medesima insegna in rapporto al numero di clienti che la frequentano e nel caso di Conad/ Cia (Ravenna-Rimini) tocca il 40%.26 PROMOTION1/2021 sceNaRI LOYALTY I RISULTATI DI UN RECENTE STUDIO PUBBLICATO SU “JOURNAL OF BUSINESS RESEARCH” MOSTRANO CHE L’INTRODUZIONE O IL RILANCIO DI UN LOYALTY PROGRAM SI TRADUCE IN UN AUMENTO SUPERIORE AL NORMALE DEL VALORE DI BORSA NEL BREVE PERIODO, ANCHE SE CON IL TEMPO I MERCATI TORNANO A VALUTARE L’AZIENDA IN LINEA CON L’EFFICACIA DEL SUO PROGRAMMA FEDELTÀ cristina Ziliani responsabile scientifico dell’Osservatorio Fedeltà UniPr Marco Ieva ricercatore di marketing e senior researcher dell’Osservatorio Fedeltà UniPr l 2020 si è chiuso da poco, la- sciando le imprese con tante sfide per il futuro e qualche nuova consapevolezza. La prima pro- babilmente è che, se si vuole, si posso- no superare resistenze e vecchi modelli per realizzare progetti anche complessi in modo veloce ed efficace. La secon- da riguarda il valore della fedeltà della clientela: la chiusura dei touchpoint fisi- ci a causa del lockdown e la riorganizza- zione intorno al digitale hanno portato al centro dell’attenzione la necessità di mantenere il dialogo con i clienti, per rassicurarli, ascoltarli e “portarli con noi”, attraverso i mesi difficili, verso una nuova normalità. Ci piace citare il programma fedeltà di una catena di cash & carry italiana che ha scritto ai propri clienti horeca per accreditare loro punti fedeltà come se I IL PROGRAMMA FEDELTÀ È UN SEGNALE PER I MERCATI stessero continuando a fare ordini, an- che se avevano invece azzerato gli acqui- sti perché i locali dovevano rimanere chiusi. Con lo stesso approccio, anche molte aziende nazionali e internaziona- li del mondo travel e hospitality stanno prorogando le date di scadenza dei punti utili per raggiungere status e vantaggi del programma fedeltà allo scopo di age- volare i propri clienti. Ma la consapevolezza del valore della fedeltà non si ferma qui: essa significa anche consapevolezza del valore dei dati di cliente, a maggior ragione quan- do alcuni mesi di discontinuità hanno cambiato completamente la “fotogra- fia” delle modalità di interazione con il mercato. Questo lungo periodo di in- certezza e lockdown ha certamente con- dizionato i comportamenti di acquisto dei clienti, favorendo lo switching non 27 PROMOTION 1/2021 solo tra brand ma anche tra canali offli- ne e online. È ora di analizzare con uno sguardo fresco la base clienti, rilanciare le segmentazioni, introdurne di nuove, individuando per esempio i clienti che sono diventati multicanale, rispetto a quelli che dopo aver provato l’esperien- za hanno deciso di terminarla. Molte aziende italiane lo stanno facendo, in linea con quanto emerge dall’ultima ri- cerca dell’Osservatorio Fedeltà (di cui ci siamo occupati nel precedente numero di Promotion), da cui risulta che il 46% delle imprese crede che la fedeltà sia un driver importante o molto importante per la ripartenza. Per aiutare le imprese nei loro sforzi di loyalty management, compito dell’Osservatorio è anche quel- lo di raccogliere e diffondere la ricerca scientifica svolta a livello internazionale sul mondo della loyalty, del crm e della customer experience. Il tema su cui vo- gliamo focalizzarci stavolta riguarda la relazione tra valore dell’impresa – misu- rato dal valore di borsa delle azioni – e strategie di loyalty management. È uscito in questi giorni uno studio di Ashkan Faramarzi e Abhi Bhattacharya ("The economic worth of loyalty pro- grams: an event study analysis", Journal of Business Research), che hanno ana- lizzato 260 lanci/rilanci di programmi fedeltà in Usa, relativi a 110 aziende e 55 settori diversi su un periodo di 18 anni, dal 2000 al 2017. Scopo dello studio era di verificare se l’introduzione di un pro- gramma fedeltà fosse un’informazione che induceva gli investitori a valutare più positivamente l’azienda tanto da tradursi in rendimenti azionari signifi- cativamente superiori. Specificamente, CON LA CHIUSURA DEI TOUCHPOINT FISICI A CAUSA DEL LOCKDOWN E LA RIORGANIZZAZIONE INTORNO AL DIGITALE, IL DIALOGO CON I CLIENTI È TORNATO UN TEMA CENTRALENext >